Sfogo: macchie di comunicazione
Era tanto che non scrivevo: troppo. Era
tanto che nelle mie parole non c'era una goccia di me, in ogni parola
una piccola parte di quel distillato di emozioni che il mio essere
sapeva produrre. Forse non era tanto il fatto che io non mettessi
tutto me stesso nella mia produzione linguistica e nelle parole che
vergavano il foglio di nero, quanto il fatto che l'essere appassito
sotto i colpi di frusta del lato amaro della vita, che sovente era
apparso al mio uscio, quasi presago del triste mietitore che un
giorno sarebbe venuto, aveva intorpidito il mio animo. Insomma non ci
si era limitati a rendermi meno qualcosa, ma qualcosa, spesso
impersonata da qualcuno, aveva fiaccato tutto il mio essere.
Non stiamo parlando del sortilegio
demoniaco di chissà quale essere caprino piuttosto che la voce
ammaliatrice di una sirena officiante nel Sabba, ma dell'incedere
sovrano di una legge di natura.
Così come sono sicuro che conoscete, o
immaginate, tutte le gradazioni di grigio che possono costellare la
sensazione a cui mi riferisco, sono altrettanto sicuro che non avete
mai riflettuto davvero sui lati positivi della riscoperta del sé. E
tra parentesi, poco importa se si tratta di un processo vero o di una
costruzione immaginaria del proprio “io” che reagisce al
malessere. Riscoprirsi è la chitarra che torna a suonare dopo che la
duratura scordatura ha fatto dimenticare la voce originale,
riacquisire la padronanza delle proprie espressioni e dei propri
movimenti è il ritorno ad un momento tanto speciale e unico che si
avvicina a quella scintilla di vita iniziale che culminò con la
nascita. E non a caso si dice rinascita.
Non mi sento di calare la conversazione in una prospettiva clinica, forse per paura, forse per ignoranza, forse per troppa conoscenza. Mi piacerebbe che si cogliesse la filosofia di questo scritto al di là delle etichette, di qualunque campo di studio e per quanto accreditate esse possano apparire, che potrebbero facilmente venire in aiuto.
Sono uno scrittore di getto, e non amo
limare i miei componimenti se non in un secondo momento colto
dall'urgenza della correttezza della forma, piuttosto che dalla
ricerca della chiarezza per il mio lettore... eppure nel momento
della sofferenza, dove il termine sta a significare, se volete sì il
dolore, ma meno banalmente, la costrizione, l'incespicare, il
ritrovarsi in quella condizione di impotenza - anzi no peggio di
massima potenza ridotta ai minimi termini – ecco è ritornando a
quei sgradevoli momenti, tutti catalogati con appropriati episodi,
che facendo il confronto con ora, con questo quanto mai piacevole e
inebriante hic et nunc, il senso di liberazione e di pienezza scaccia
e schiaccia una inefficacia e inefficienza di vita che, forse – ma
con una probabilità abbastanza alta – tornerà ad annebbiare la
mente e l'azione, eppure che al momento appare, non lontana e
inabissata, quanto vicina e sconfitta. E' la vittoria della ragione,
dello spirito di sopravvivenza, del bene sulle rispettive
controparti.
E vengono in mente quelle filosofie che
parlano di due estremi, e viene in mente quel disegno che rappresenta
il concetto dello Yin e dello Yang, che ti rimane in testa per una
propaganda e reinterpretazione moderna più che per le basi di un
pensiero che oggi ti appare quanto mai chiaro. Tutto trova posto,
forse in preda ad una visione troppo manichea – ma la parola
troppo, si sa, è sempre fuori luogo in discorsi di tal fatta,
assumendo il sapore negazionista di chi sembra annullare relativismo
e scetticismo - attorno ai due estremi di un gioco – della vita –
in cui gli stessi si compenetrano quasi secondo una logica
necessaria.
Di fronte a tale affermazione appare
quasi confutabile l'esistenza del male come testimonianza della non
esistenza di Dio, ma non è del tema teologico che qui ci occupiamo,
semmai di uno teleologico. E a dire il vero dalla prospettiva onesta
e scevra da preconcetti – per quanto inevitabilmente condizionata
un minimo dalle convinzioni dello scrivente – l'esistenza,
l'interferenza, l'indifferenza di un essere supremo non entra
assolutamente nel nostro discorso.
E' un discorso tutto umano, pienamente
umano, quello che è stato prodotto da una rinascita, o se volete più
semplicemente da uno scatto evolutivo nell'esistenza di un essere
senziente, che giunge ad illuminare la notte dopo un lungo letargico
sonno: quasi letargo, appunto, per affrontare l'asperità
dell'inverno e ricaricare le pile per un'estate gloriosa.
Come volevasi dimostrare, le stagioni
della vita...
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