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Alto 1, 85 cm, circa, attualmente sovrappeso, castano, occhi marroni misti a verde, tendenzialmente simpatico.

venerdì, aprile 28, 2006

Comunicazioni inique


Questo post, ahimè autobiografico, vorrebbe denunciare il comportamento di alcune persone che, per motivi più o meno oscuri, si dilettano a comunicare in maniera ambigua. Nella mia, finora breve ma intensa, vita mi sono trovato spesso ad avere a che fare con gente falsa e che fa un ampio uso di comunicazione ingannevole, persone insomma che avranno un posto nella nostra società, magari in politica o in pubblicità!
Ma oggetto del nostro post sono coloro che volontariamente non esprimono chiarezza, ma complicano le regole del gioco. Qui non siamo di fronte ai soliti "voltafaccia", ma a un "dico, ma non voglio dire", "ti comunico, ma subito dopo discomunico" un'intrigata serie di messaggi e contromessaggi, quando poi il linguaggio paraverbale non contrasta con quello verbale e allora la situazione si complica maggiormente e tu sei lì che cerchi di risolvere la sciarada ... se non ti stufi prima ...
Dall'amicizia, all'amore ai semplici rapporti quotidiani ci si diverte ad infrangere le massime di Grice, e se tale cosa è peculiare a volte di un certo tipo di linguaggio evoluto, altre volte indica un torbido gioco in cui si inganna il destinatario. Come fare quindi a vincere la voluta incomunicabilità?
Se è vero, come è vero, che è impossibile non comunicare, allora dovremo cercare di risolvere il nostro puzzle mettendo insieme tutte le tesserine del vero messaggio che subliminalmente si insinua tra la marea di facezie e depistaggi. Pertanto, come tombaroli negli intrigati cunicoli della piramide, ci risulterà necessario applicare in pieno la nostra ars interpretandi e seguire la traccia giusta.
Ancora una volta la situazione appare però controversa, in fin de' conti se l'emittente comunica volontariamente in maniera ingannevole è giusto che noi cerchiamo di andare oltre? E' corretto nei nostri stessi confronti decodificare il cifrato che altro non è che un messaggio mascherato? Non sarebbe forse più giusto fermarsi a quanto ci viene dato e aspettare "comunicazioni più chiare"? O forse quest'ultima soluzione indica il tentativo di trincerarsi in una torre d'avorio per vivere meglio e scervellarsi di meno?

martedì, aprile 25, 2006

Il ritorno del Blogger

Eccomi qua dopo una breve, 'nsomma, latitanza. Sono tornato a dibattere temi più o meno controversi.

Però oggi è festa e mi riposo quindi il bellissimo post che sto per scrivere non ve lo beccate prima di domani.

martedì, aprile 18, 2006

Buona Pasqua fatta


Forse un po' in ritardo, ma i passatelli, il capretto e il cioccolato, rigorosamente fondente, hanno avuto la precedenza ...

Buona Pasqua, mistica e non!

martedì, aprile 11, 2006

Jesus Christ Superstar : quando il musical fa cultura

Iniziamo oggi il viaggio nel mondo della comunicazione musicale e lo facciamo con il Musical, qualcosa che coinvolge le note, le parole, le coreografie, qualcosa che è comunicazione a 360 gradi.

Vediamo come questo accada e vi invitiamo a proporre i vostri Musical e le analisi integrali o parziali utili a questo discorso "comuncativo" su tale forma artistica.

Quello che vi proponiamo noi, nasce, come evento cinematografico, dopo aver spopolato per anni nella sua versione di spettacolo dal vivo, dalla musica di Andrew Lloyd Webber, con le parole di Tim Rice, attraverso l’occhio di Jewison.



Jesus Christ Superstar : la ricostruzione di un mito

È strano come una tragedia diventi qualcos’altro, come al posto di un solenne teatro ci siano paesaggi che si perdono lungo la linea dell’orizzonte, come ad uccidere non sia tanto la mano di un solo esecutore, ma il sordido complotto di chi non vede, di chi vuole vedere e di chi non vuole vedere. E come tutto questo non sia ricordato in quanto tragedia, ma musical, opera rock dalle musiche vive e coinvolgenti che tutto suggeriscono fuorché tristezza e rammarico.
Jesus Christ Superstar è un’opera unica nel suo genere in cui si rivisita un mito del passato tramite chiavi di lettura moderne, caratteristiche di un’America del 1973 alle prese con l’avversata guerra del Vietnam e il prepotente affermarsi dei giovani, non più come stadio intermedio tra la fanciullezza e la maturità, ma come classe sociale con una propria identità. Ed è proprio un cast di giovani che dà vita al film musicale che Jewison fa venire alla luce tra le sabbie e le mura diroccate della Terra Santa. Giovani e molto vicini ai movimenti Hippie sono gli apostoli che seguono Gesù godendosi quello che appare come un piccolo movimento pacifista che si estende a macchia d’olio, i soldati romani sono armati di lance come pure di mitra e non mancano carri armati e jet che riempiono il deserto, quasi a voler individuare un unico gruppo, quello dei militari, che supera la dimensione del tempo e ingloba tutti coloro che fanno uso di strumenti di distruzione. Poi c’è il potere, quello sciocco, goliardico, che si è perso nel divertimento e che non fa che inseguire stramberie ed eventi mondani (Erode) e quello nascosto, che trama nell’ombra (Caifa) per non parlare poi di quello del popolo occupante che deve districarsi tra i potentati locali e tra la folla, cercando di accontentare tutti per mantenere calma la situazione (Pilato).
Ma Gesù Cristo è anche Superstar, è l’ascesa di un uomo verso il successo, un successo che lo abbaglia, che fa sì che egli “diventi più importante delle cose che dice” (Heaven on their mind), simpatico ammiccamento degli autori al pubblico, la star dello spettacolo è Gesù, una star pronta al martirio per i propri fans, e in fin de’ conti proprio di uno spettacolo si tratta come mostrano le prime scene, nell’Overture, in cui arriva l’autobus carico di artisti che si vestono e si preparano di fronte alle telecamere. Per una volta gli ultimi giorni di Cristo sono pieni zeppi di colori, movimento e musica laddove ogni personaggio ha una precisa tonalità che lo identifica e caratterizza.

Sociologia e comunicazione

Nel corso dell’opera vi sono alcuni spunti interessanti che riguardano diverse discipline. Da un punto di vista sociologico, Pilato è spaventato dalla folla mutevole che se lo acclamerà in un primo momento non ci metterà poi molto ad avventarsi contro di lui. È esattamente quello che è successo con Gesù che, eletto re, viene poi spinto sulla croce e infine invocato nuovamente (Could we start again) per un suo ritorno, per fare chiarezza. Una folla avventata quindi che si lascia trascinare da impulsi irrazionali.
Simpatico ma indicativo il consiglio di Giuda sull’utilizzo dei Mass Media (Superstar) e da notare le interviste (The arrest), un tratto giornalistico che fa parte di quelle “chiavi di lettura moderne” di cui si diceva prima.

L’occhio della telecamera

È visibile nell’opera un largo uso dei paesaggi che spesso costituiscono delle vere e proprie pause tra un pezzo e l’altro, così come lo sguardo si perde in essi, allo stesso modo la musica si affievolisce quando non scompare del tutto.
Da notare anche come il regista giochi con il sole non curante dell’effetto devastante sulle inquadrature, anzi lasciando pure che i raggi colpiscano l’obiettivo e facendo sì che solo la figura di Gesù possa erigersi per bloccarli. Sempre il sole viene usato come proiettore naturale nelle scene del pezzo What’s the buzz, ma ancora una volta i suoi raggi investono solo Cristo e sfiorano parzialmente Maddalena che gli si avvicina. Non mancano scene girate di notte in cui sono le fiaccole a illuminare questo o quel soggetto, mentre un bel tramonto viene immortalato all’inizio del secondo tempo.
Difficilmente si vedono sguardi in macchina, tutti i personaggi tendono ad assumere una posa di tre quarti in cui fissano qualcosa in lontananza o fanno perdere lo sguardo dietro ai propri pensieri che ci vengono comunicati in interessanti e teatrali monologhi. Moltissimi i primi piani, spesso la ripresa parte da inquadrature a mezzo busto o totali per poi stringere sul viso del personaggio. Quello di cui si va alla ricerca è naturalmente la complessa ed accurata mimica facciale che tutti sfoggiano per dare maggior sostegno al codice linguistico, musicale e gestuale.
Quando le scene sono particolarmente frenetiche anche le cineprese sembrano partecipare, tanto diversi e repentini sono i tagli. Non mi riferisco tanto alle scene di balletto dove l’intervento dei cameraman è più descrittivo quanto alle due “corse”, quella del suicidio di Giuda e l’altra del tentennamento di Cristo, curiosamente, ma forse non casualmente, entrambe rappresentano due ascese.

Un’opera rock “rought but nice and easy”

Musiche frizzanti, musiche esaltanti, come pure dolci o inquietanti. I vari pezzi di Jesus Christ Superstar sono capaci di descrivere gli avvenimenti anche solo musicalmente, ognuno di essi comunica subito sensazioni di gioia, tranquillità, inquietudine, dolore. Si tende inoltre ad alternare un brano dai toni più carichi e concitati ad un altro più mite. È il caso di Then we are decided e Everything’s alright, come pure This Jesus must die e Hosanna, Simon Zealotes e Poor Jerusalem o ancora Trial before Pilate e Superstar.
Probabilmente uno dei fattori più esaltanti e coinvolgenti è come la cultura bianca sia riuscita a produrre qualcosa di rock, che è la musica del ribelle e dello scabroso per antonomasia, legato a quanto di più sacro essa conservi. È questo nuovo corso musicale che affascina i giovani, che coinvolge religiosi e non, rompendo con una tradizione ecclesiastica che pur ripetendo in continuazione che Dio è amore aveva poi sempre prodotto litanie solenni che si avvicinavano più a veglie funebri che a rigogliose esplosioni di vita.

lunedì, aprile 03, 2006

Considerazioni dopo una passeggiata ai giardini Margherita

I cani di città non sono come i cani di campagna

I cani di città non sono come i cani di campagna. I cani di città passano la maggior parte del tempo negli appartamenti facoltosi dei loro padroni. Guardano “La carica dei 101” in tv e si fanno firmare autografi da Rex quando riescono a incontrarlo in qualche evento del tipo : “Stelle a quattro zampe”. I cani di città masticano ossi finti e se gli tiri un bastone te lo riportano subito, lieti di poter servire il padrone, che per loro è dio in terra. I cani di campagna passano la maggior parte del tempo tra prati, piante da frutto e ruscelletti, in cui bevono. Si inzuppano i piedini paffuti nelle pozzanghere e scacciano via le mosche con la coda. Non guardano mai la tv, ma a volte la tv viene a guardare loro. Credono che Rex sia un debosciato e definiscono la Ferilli una stella a quattro zampe, specialmente quando la immaginano nuda e carponi. Rosicchiano ossi veri e se gli tiri un bastone ti mordono ai polpacci.
Nel fine settimana i cani di città vanno al parco e corrono tutto il tempo, come cuccioli cresciuti solo fisicamente. Giocano tra loro e se due maschi litigano regolano la cosa al fioretto o con la pistola. Di solito si guardano negli occhi senza neanche un rantolio e il più remissivo cede quasi subito. Nel fine settimana i cani di campagna vanno al mercato e si litigano gli avanzi che rimangono quando le bancarelle sono smontate. Tra loro fanno branco, se randagi, ma se vengono dai rispettivi territori si guardano con sospetto. Se litigano si fissano, ringhiano, si mordono e poi si staccano brandelli di carne. I cani di città portano tutti il collare o qualche altro segno distintivo del loro status. Hanno un pelo liscissimo e girano con eleganti cappottini. I cani di campagna hanno cicatrici e ferite aperte. Sono sporchi di terra e puzzano di cacca. La gente di città ha savoir faire, la gente di campagna sa fare.

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